Labassa
44.151233,7.704558
Description
Descrizione
L’ingresso di Labassa è un foro in parete (una frattura), quasi insignificante, che si raggiunge con una corda in risalita di circa 15 m, ma appena ci si mette a cavallo dell’ingresso… si capisce subito che non è il solito nicchione. Per 2 anni, dall’84 all’86, gli speleo imperiesi hanno creduto nell’aria che sferzava in faccia, lottando con strettoie e frane che sembravano impossibili. I VECCHI RAMI La prima parte, prevalentemente orizzontale, che si sviluppa nei calcari triassici, è un lembo di un’antica rete freatica, ormai fossile, fracassata dall’esarazione delle lingue glaciali quaternarie. Dall’ingresso, a parte due diramazioni discendenti (una intasata da sabbia e l’altra che si esaurisce in strettoie a -73 m), parte la galleria che scende fino alla prima ex strettoia, quindi ad una saletta. Segue la seconda strettoia, poi si arriva alla ormai domata Fizcarraldo, la temuta frana. Dopo un facile traverso e un saltino che porta ad una saletta si arriva al Trivio, punto di confluenza di condotti. Di fronte parte una condotta, dove le ultime punte hanno guadagnato alcuni metri, ma la frattura stringendo si beffa dell’aria che passa tra le pietre. A sinistra, dove soffia l’aria, sono le Gallerie Colombo. Percorso a saliscendi in condotte a pressione; l’aria scende da un camino (chiuso in strettoia) che porta probabilmente al Ferà, 300 m più in alto, mentre in basso si susseguono micidiali strettoie. Il ramo si esaurisce (dopo un pozzetto non armato) in una serie di condotte e salette ultrafossili zeppe di concrezioni. Nella prima parte si sviluppano in direzione sud, mentre nella parte finale seguono le fratture NNE-SSW, chiudendo sotto la verticale dell’Abisso Armaduk. LA ZONA TETTONICA Dal Trivio, sulla destra, parte uno stretto condottino che scende con due saltini. È l’inizio della Via di Damasco, nessuna corrente d’aria presente subito, ma micidiali strettoie addomesticate alternate a saltini fino a -104 m. Si risale una serie di condottini fossili e infangati fino alla Sala del Chinotto, poi di nuovo pozzetti, sino all’ex sifonetto di -152 m (Pentola di Montezuma). Si segue l’acqua lungo tre pozzi a cascata, per poi sparire in una fessura che preannuncia la Diaclasi (-180 m). La Via di Damasco è impostata su una serie di fratture E-O, parallele alla cresta del Ferà. Dopo la Pentola di Montezuma i facili saltini portano ad un condotto orizzontale fino alla Diaclasi: una grande frattura che taglia le dolomie triassiche dirigendosi verso sud, dentro la montagna. Ambienti più ampi, depositi sabbiosi e salette segnano il contatto con i calcari del Giurassico; da qui Labassa esplode. LE GRANDI CONDOTTE FOSSILI Inizia una serie di grandi condotte freatiche fossili di oltre 3 km di sviluppo, con un andamento a saliscendi, ad una profondità di -220 m. La prima parte (Gallerie del Silenzio) si spinge ancora verso nord nel cuore della montagna, imponenti tubi freatici a pressione con grandi alveolature di corrosione e modesti approfondimenti vadosi. I riempimenti sabbioso-ciottolosi hanno ostruito completamente le diramazioni verso sud, lasciando invece un vecchio sifone Pentola Lagostina) che spesso blocca il passaggio verso il fondo. Ora una serie di tubi e una pompa permettono lo svuotamento del sifone in tempi relativamente modesti. Poco prima della Pentola, in una diramazione laterale, si trova il campo dei francesi, probabilmente per tentare lo scavo della galleria che chiude su riempimento. Un basso passaggio porta alle gallerie della Lunga strada dell’Ovest, a sinistra poche decine di metri di vecchie condotte concrezionatissime (la Sala delle Stalattiti Storte) intasate poi da fango e calcite indicano l’antica strada dell’acqua verso le Fascette. Seguendo la condotta principale, di dimensioni metriche, si arriva ad un pozzetto di 12 m, anticamera di un enorme sifone fossile (-258 m), lungo una trentina di metri. Poi la “strada” corre veloce: tubi freatici con scarsi approfondimenti vadosi, larghe e profonde marmitte. Un’unica zona di crollo, il punto 18, dove si dirama verso nord una concrezionatissima galleria nella quale c’è ancora da lavorare. A 400 m dalla pentola-sifone (-250 m circa) si raggiunge il punto chiave del Bivio dello Scafoide. La galleria si esaurisce nel Ramo delle Pentole, micidiali condottine saliscendi, lungo quasi 600 m, di dimensioni ridotte, che termina in un salone di crollo, al contatto tra calcari giurassici e scisti cretacei, dove scorre un misterioso filo d’acqua. Le Pentole sono un ramo estremamente rognoso, ma anche uno dei pochi che punta verso ovest in zone per ora senza grotte, da rivedere per chi ne avrà il coraggio. Il Ramo dello Scafoide è la via per raggiungere il collettore: 70 m di dislivello, interrotti solo da un P14, con strette gallerie vadose e crolli sino a scendere sulle rive di un enorme lago-sifone. Ma dallo Scafoide, con un brusco angolo di 90°, iniziano le Gallerie Giuanìn Magnana, un chilometro di grandi condotte con sculture alveari, talora con il fondo sabbioso, a parte qualche zona di crollo nelle zone alte. A metà strada, una parete tappezzata da fiori di aragoniti aghiformi preannuncia il cosiddetto punto 33, altro fondamentale crocevia. Verso ovest è il Ramo dei Coperchi, si sale al condottino ellittico, asciutto, ascendente ricco di belle concrezioni nei calcari del Dogger, poi la parte discendente, tre pozzetti e alcune disostruzioni in mezzo al fango. Dopo 300 m ci si arresta davanti ad un passaggio strettissimo ma senza aria, anche questo da ricordare per i posteri. Dal punto 33, a destra, si può scendere rapidamente sino ai grandi laghi a monte. La galleria principale punta ancora verso nord con un basso passaggio sabbioso, poi qualche risalita e ancora i grandi tubi a pressione levigati, nei calcari giurassici che, tagliati da un pozzetto, cominciano a scendere a 45° per un centinaio di metri fino allo spettacolare canyon da cui, in basso, rumoreggia il Gran Fiume dei Mugugni. Alla base del pozzetto si può notare uno dei campi interni (attenzione a non caderci sopra!) dove sono sistemati in bidoni stagni ben cinque sacchi per poter dormire, fornello e qualche attrezzo (non entrare nel campo con tuta o scarponi). I GRANDI AFFLUENTI Il levigato condotto delle Giuanìn Magnana continua costituendo la volta della forra, alta una trentina di metri. Per l’amonte seguire una serie di comode tirolesi su cengette che, con 20 m di verticale, portano direttamente sulla sponda del torrente scavato in calcari neri venati. Risalendo il torrente, poco oltre, inizia un’enorme zona di crollo che porta ad un grande vuoto, la cosidetta Sala del Grande Cocomero: questo punto si trova all’incrocio di importanti linee tettoniche. Dalla Sala del Grande Cocomero si scende per una quarantina di metri l’enorme massa di detriti raggiungendo nuovamente il Fiume dei Mugugni. La progressione sul fondo è nuovamente veloce lungo la forra vadosa a larghe anse, levigate dall’erosione, con diversi livelli sovrapposti di sedimenti grossolani. Si alternano frequenti zone di crollo sino ad un nuovo salone, con imponenti accumuli di clastici instabili, una risalitina in una forretta e si arriva alle sponde di un lago di una dozzina di metri, passabile con canotto o mute, sino al sifone dove sgorgano le acque provenienti dai sifoni di Piaggia Bella. Al lato del sifone, un condotto con approfondimenti vadosi prosegue per un centinaio di metri verso NW trasformandosi in uno stretto budello non terminato: l’aria che lo percorre sembrerebbe arrivare non da PB ma dalla zona sovrastante. Tra la Sala del Grande Cocomero e il sifone terminale si sviluppa, sopra al ramo attivo, un incredibile labirinto di condotte forzate fossili: il Regno del Minotauro; nonostante i punti di rilievi, non sono pochi i problemi di orientamento. Le grandi gallerie freatiche, spesso troncate dalle frane, sono distribuite su diversi piani paralleli e sovrapposti. Diffusi concrezionamenti calcitici, spesso poderosi crostoni stalagmitici che fanno da pavimento alle mega gallerie. Tornando all’incrocio tra le Giuanìn Magnana e la forra, si può scendere il canyon verso valle e subito confluisce, dalla destra, un ruscello: è l’inizio del ramo Latte e Miele. Seguendo il ruscello si finisce in uno stretto sifone, ma arrampicando si raggiunge un complicato dedalo di pozzetti e gallerie ascendenti, molto concrezionate, che terminano in camini. È il settore che più si avvicina al Colle dei Signori, ma anche alla superficie. Potrebbe regalare il terzo ingresso a Labassa, le esplorazioni sono ferme su risalite molto acquatiche. Il Fiume dei Mugugni si apre invece in un salone che anticipa un grandioso lago sifonante, dall’altra parte del sifone ha inizio la Regione dei Grandi Laghi. LA SALA DELLE ACQUE CHE CANTANO ED IL COLLETTORE La Regione dei Grandi Laghi, che comprende 7 bacini, si sviluppa con minimi dislivelli, pressoché al di sotto delle Giuanìn Magnana. Il lago più a monte è in realtà un grande tetro sifone che raccoglie probabilmente le acque del Colle dei Signori. Questo ambiente si può considerare idealmente la mitica Sala delle Acque che Cantano, punto di confluenza dei grandi affluenti della zona di assorbimenti. Al 7° lago-sifone si accede dal punto 33 (nelle gallerie Giuanìn Magnana) atterrando in una zona di saloni di crollo e gallerie a pressione con marmitte concrezionatissime; un articolato by-pass permette di scavalcare tutto il lago verso monte, solo in parte si riesce invece ad evitare l’acqua verso valle anche per i successivi profondi laghi; bisogna affidarsi ai canotti, ancor più infidi in questi ambienti dove le pareti lisce di calcare nero si alternano a insidiose lame. Anche gli ultimi tre laghi sono condotte alte una decina di metri dal pelo dell’acqua e altrettanti sotto, che entrano a pieno carico in caso di piene. Il primo lago si esaurisce su un doppio sifone largo una ventina di metri, dove la spiaggetta verso Nord corrisponde all’arrivo del Ramo dello Scafoide. Dal ripido pendio di blocchi si sale una parete di 10 m, tagliata nei depositi sabbioso-ciottolosi, raggiungendo una rete freatica fossile molto complessa (diametri anche di 20 m). Dalle grandi gallerie si può raggiungere in alcuni punti il livello attivo. Il torrente, dopo alcuni laghetti e rapide, si getta da un pozzo-cascata in un salone occupato da un tetro lago: è l’inizio del collettore che porta le acque alla risorgenza nella Gola delle Fascette. VERSO IL LUPO La via è per i rami fossili superiori, un grandioso condotto che s’affaccia strapiombante sul collettore che scorre 20-30 m più in basso. La forra, a pareti lisce e fangose, impedisce la discesa diretta sul fondo, inizia qui la serie di tirolesi (120 m) e pozzetti che portano prima a traversare brevemente sull’acqua (con un P20 a fianco alla cascata) e poi sull’orlo di un nuovo pozzo valutato oltre i 50 m. Le tirolesi diventano da qui completamente aeree, l’ultima parte permette di risalire verso un’antica condotta fossile, fracassata da crolli e dove l’argilla ricopre ogni centimetro di roccia (le Gallerie Fangose). Dopo due saltini, tra enormi accumuli graviclastici, la discesa di un P45 oscenamente fangoso, ci si immette in un ambiente di crolli che collega nuovamente, sia a valle che a monte, con il collettore. Poco avanti, da uno dei tanti buchi che occhieggiano sulla volta c’è l’arrivo delle Gallerie Vai Vai Pastasciutta, il più alto livello di condotte freatiche di questa prima parte del collettore. Le Vai Vai Pastasciutta, 600 m di gallerie a pressione completamente rivestite di fango, si raggiungono traversando il canyon dopo le prime tirolesi (Pendolo di Ferrou). Si presentano con diverse perdite e marmitte, tra cui un nuovo livello inferiore, sempre fangosissimo, che potrebbe aprire verso monte la strada verso il settore del Colle dei Signori, mentre a valle si ributta sul Salone dell’Iperspazio. Fino al 2000 le gallerie terminavano con il P65 che porta rapidamente al Salone dell’Iperspazio, ma traversando il pozzo si aprono le gallerie Fandango, naturale prosecuzione del livello freatico delle Vai Vai Pastasciutta, per un chilometro e mezzo, che si interrompono da un lato contro una frana e dall’altra in un muro di faglia. Da vedere ancora qualche condotto nella loro parte iniziale, mentre alcune diramazioni discendenti hanno riportato sul Salone dell’Iperspazio. Ritornando a valle si segue il collettore, tra i massi ciclopici, in una galleria alta 20-30 m che scende in una forretta. Una facile arrampicata tra i blocchi porta all’inizio dell’Iperspazio, un grandioso vuoto di crollo con enormi massi ma anche depositi sabbiosi (quasi 200 m di lunghezza sino a 50 di larghezza) che ci riporta, 40 m più in basso, a ritrovare i resti delle gallerie di erosione. A lato, seguendo l’acqua in mezzo a massi, si raggiunge dopo 150 m il sifone Cappuccetto Rosso, a quota 1375 m. La prosecuzione è per le vie fossili, arrampicando in fondo all’Iperspazio: è l’Immacolata Concrezione (oltre 300 m), gallerie con concrezionamenti di una bellezza sorprendente, ma che riportano di nuovo sul maestoso collettore. Fino al 2000 l’unico modo per proseguire era o con mute o con pontonnière, lungo un traverso molto acquatico; ora l’armo è stato spostato ed è quindi possibile proseguire con la normale attrezzatura. (la (tratto da: Atlante delle aree carsiche piemontesi - Volume 2 (2010)
Caves nearby
Distance (km) | Name | Length (m) | Depth (m) |
---|---|---|---|
0.2 | Sciacalli | 200 | 123 |
0.3 | Abisso Armaduk | 600 | 152 |
0.5 | Carsena del Ferà | 396 | 160 |
0.6 | Piccolo Ferà (Grotta del) | 35 | 15 |
0.6 | Putiferia | 170 | 60 |
0.7 | Buco di Berlino | 82 | 63 |
0.7 | Buco di Berlino | 82 | 63 |
0.9 | Pozzo Sgunfia | 10 | 10 |
0.9 | Arma delle Mastrelle | 130 |